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Scissione: quando il successo aziendale diventa un fallimento umano

Come la serie TV “Scissione” riflette il confine tra produttività, etica e fallimento nel mondo del lavoro
5 Marzo 2025

Nel panorama delle serie TV che affrontano temi sociali profondi, Scissione si distingue per la sua rappresentazione inquietante e attuale del mondo del lavoro. Creata da Dan Erickson e diretta in gran parte da Ben Stiller, la serie segue le vicende di Mark Scout (interpretato da Adam Scott), un impiegato della Lumon Industries, un’azienda che applica una procedura radicale chiamata “scissione” per separare completamente la memoria lavorativa da quella personale.

Questa idea apparentemente innovativa si trasforma ben presto in una prigione psicologica per i protagonisti, tra cui Helly R. (Britt Lower), Irving (John Turturro) e Dylan (Zach Cherry), che lottano per comprendere la loro reale identità e la natura dell’azienda. Ma cosa succede quando la ricerca della produttività estrema porta al sacrificio dell’identità umana?

Questa domanda non riguarda solo la fiction, ma anche il nostro mondo reale, in cui il confine tra lavoro e vita privata diventa sempre più sfumato. In questo articolo, esploreremo i temi di fallimento e successo che Scissione porta in luce e il loro impatto sul marketing, sulla produttività e sull’etica aziendale.

Il fallimento della Work-Life Balance

Negli ultimi anni, il concetto di work-life balance è diventato un obiettivo primario per molte aziende. Tuttavia, la realtà è ben diversa: la crescente digitalizzazione ha reso più difficile tracciare una linea tra lavoro e vita personale. Scissione porta questo tema all’estremo, mostrando come la separazione totale tra questi due mondi non sia una vera soluzione, ma un problema ancora più grande. Il personaggio di Mark ne è l’esempio più evidente: il suo innie (personalità lavorativa) vive in una costante prigionia aziendale, mentre il suo outie lotta con il dolore per la perdita della moglie Gemma (Dichen Lachman), senza sapere che potrebbe essere ancora viva.

Nel marketing, una narrazione efficace sul work-life balance può migliorare l’immagine aziendale, ma se non supportata da azioni concrete, può trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Basta osservare i fallimenti di aziende che hanno promosso ambienti di lavoro sostenibili solo sulla carta, per poi essere smascherate da testimonianze di dipendenti esausti e insoddisfatti.

Il successo apparente delle aziende tossiche

Molte aziende celebrano la loro crescita esponenziale, i loro valori innovativi e il loro ambiente “familiare”. Tuttavia, dietro questa immagine possono nascondersi pressioni estreme, dinamiche tossiche e una mancanza di rispetto per i lavoratori. La Lumon rappresenta l’apice di questa contraddizione: un’azienda che esternamente appare all’avanguardia e persino filantropica, ma che internamente esercita un controllo assoluto sui suoi dipendenti.

Un esempio di questo è il personaggio di Helly, la cui rivelazione finale nella prima stagione ribalta completamente il modo in cui lo spettatore percepisce il sistema della scissione. Nel marketing, la coerenza tra immagine e realtà è cruciale. Oggi, con l’accesso immediato alle recensioni online e ai racconti diretti dei dipendenti (su piattaforme come Glassdoor), un brand che costruisce una narrazione ingannevole rischia di veder crollare la propria reputazione in un istante.

Marketing e percezione: la facciata di Lumon

In Scissione, la Lumon Industries è maestra nell’arte della comunicazione: colori rassicuranti, slogan motivazionali e un’estetica aziendale pulita e accattivante. Questo riflette perfettamente la realtà di molti brand che, grazie a un marketing impeccabile, costruiscono una percezione di successo anche quando le fondamenta sono instabili. Il personaggio di Harmony Cobel (Patricia Clarkson), che si finge una normale vicina di casa mentre in realtà è un’alta dirigente della Lumon, incarna perfettamente questa ambiguità tra immagine e realtà.

Le campagne pubblicitarie che enfatizzano il benessere dei dipendenti, la mission etica e la cultura aziendale inclusiva sono potenti strumenti di branding, ma possono trasformarsi in un boomerang se smentite dai fatti. Il vero successo non sta nell’apparire un’azienda etica, ma nell’esserlo realmente.

Il dilemma etico della produttività assoluta

L’ossessione per la produttività è un tratto distintivo del capitalismo moderno. L’idea che un lavoratore debba essere sempre efficiente e performante ha portato all’aumento dei casi di burnout e stress lavorativo. Scissione amplifica questo concetto, mostrando cosa succederebbe se l’unico scopo dell’esistenza di un individuo fosse lavorare.

Il personaggio di Dylan ne è la dimostrazione più lampante: in una delle scene più intense della serie, scopre di avere una famiglia nella sua vita outie, qualcosa che il suo innie non avrebbe mai potuto immaginare. Questa rivelazione mette in discussione l’intera premessa della scissione e solleva un dilemma etico: fino a che punto un’azienda può controllare la vita dei propri dipendenti in nome della produttività?

Nel mondo del business e del marketing, la pressione sulla performance è altissima. Tuttavia, un’azienda che valorizza il benessere dei suoi dipendenti non solo costruisce un ambiente di lavoro più sano, ma migliora anche la propria produttività a lungo termine. Il successo non è solo nei numeri di fatturato, ma nella sostenibilità del modello di business.

Successo o fallimento?

Scissione ci porta a riflettere su un interrogativo fondamentale: cosa significa davvero avere successo? Un’azienda può essere leader di mercato, ma se il prezzo è il sacrificio del benessere delle persone, si tratta davvero di un traguardo o di un fallimento?

Per le aziende, il vero successo sta nell’equilibrio tra crescita, etica e umanità. E nel marketing, la trasparenza e la coerenza con i propri valori non sono più un’opzione, ma una necessità per costruire una reputazione solida e duratura.

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