La storia di Alberto e di un cuore che batte sempre a tempo

Alberto è un autistico ad alto funzionamento. Ci vuole un po’ ad accorgersi dei segnali che rivelano la sua condizione: dondolio del corpo, movimenti delle mani e degli occhi, tono della voce più alto del normale…
“Ho ricevuto la mia prima diagnosi a 2 anni e mezzo” ci racconta.
“I miei genitori se ne sono accorti dal fatto che dondolavo in continuazione, dall’assenza di contatto visivo e da altri segnali tipici di un ritardo cognitivo, così come diagnosticato dalla mia prima psichiatra”.
Le prime esperienze con la socialità arrivano presto e i bambini, nella loro spontaneità, possono essere crudeli: Alberto è emarginato, fin dai primissimi contatti con i suoi compagni di scuola.
“Mi chiamavano Pendolo, per il mio dondolio continuo. Venivo bullizzato continuamente: mi rubavano le cose dallo zaino, mi escludevano dai giochi… mi sentivo sempre solo”.
Stringo il pugno mentre mi racconta queste cose.
Soffoco a malapena un rigurgito che sento provenire da dentro.
Provo sentimenti contrastanti: sento rabbia nei confronti di quei bambini, poi penso a mia figlia piccola, penso al fatto che sono solo piccole creature che stanno crescendo e mi sento quasi in colpa per averli giudicati crudeli.
Poi, ancora, un’altra sensazione di malessere: e se lo avessi fatto anch’io? Se mi fossi preso gioco di qualcuno nelle stesse condizioni di Alberto e adesso non lo ricordassi più? Faccio un respiro lungo e gli chiedo di proseguire.
“Ovviamente ho avuto dei problemi anche con le ragazze: sono stato bullizzato anche da loro. Alcune ragazze si avvicinavano a me dicendomi che ero bellissimo… in realtà volevano solo approfittarsi della mia ingenuità e non appena abboccavo alla loro esca loro scappavano via, correvano dalle loro amiche e mi prendevano in giro per la facilità con cui ero caduto nella trappola”.
Non voglio commuovermi di fronte a lui, ma sento di non potermi trattenere ancora per molto… allora lo spiazzo con un’altra domanda, mi sposto sulla musica. Quella che per, Alberto, ha rappresentato una svolta.
“La mia passione per la batteria nasce grazie a un insegnante delle medie. Un giorno a scuola ci mette una canzone e mi dà un tamburello. E io vado a tempo!”

Alberto racconta come uno dei primi segnali della sua condizione, da piccolo, fosse quello di sbattere i cucchiaini per tutta la casa. Le sue prime “bacchette”… Alberto aveva trovato il modo di utilizzare un difetto dovuto alla sua condizione in un’accezione positiva, aveva trovato il modo di canalizzare la sua debolezza in un punto di forza.
Che lezione di marketing!
“A 12 anni vado a lezione di musica dal maestro Gianfranco Romano. All’inizio non è stato facile impugnare le bacchette della batteria, ho iniziato con cose semplici e sono arrivato fino all’hard rock e al metal, ho finalmente iniziato a suonare i Metallica, anche grazie ad Alfio La Rosa, il mio secondo maestro, che mi ha insegnato l’uso del doppio pedale”.
Le cose iniziano ad andare meglio anche sul fronte della socialità. Alberto si unisce a un gruppo della sua parrocchia e, per la prima volta, si trova a relazionarsi con persone nella sua stessa condizione. Inizia a sentirsi accettato e si avvicina, per la prima volta, alla fede cattolica.
“Da bambino mi ero allontanato dalla Chiesa durante il catechismo perché anche lì ero continuamente bullizzato. Ma grazie a questo gruppo ho cambiato idea, a tal punto che volevo fare il sacerdote, lo volevo con tutto me stesso… purtroppo a causa dei miei disturbi mi hanno detto che non era il caso. Ma io non mi sono arreso: se non potevo professare la fede, forse sarei riuscito a insegnarla! Ho studiato teologia e mi sono laureato in Scienze Religiose”.
Poi è successo qualcos’altro:
“Un giorno Dio mi ha parlato. Mi ha detto: ma quando la farai finita di cercare sempre il consenso degli altri? Ho sentito chiaramente la sua voce nella mia testa, ho pianto… e da lì ho capito potevo aiutare gli altri, potevo essere prezioso per qualcuno”.
Alberto inizia un’esperienza itinerante, porta la sua fede e il suo aiuto in giro per l’Italia. Poi l’occasione: un posto da missionario in Kenya e Tanzania.

Alberto ci prova. Gli organizzatori gli dicono di sì: potrà fare il missionario in Africa, per qualche mese. Purtroppo il destino è dietro l’angolo, pronto a giocargli un brutto scherzo.
“Ero felicissimo alla notizia. E probabilmente proprio a causa di questa eccitazione, ho iniziato a perdere il controllo”.
I segnali che tradiscono la sua condizione – e che solitamente Alberto riesce a gestire – vengono fuori di colpo, e si esasperano: inizia a dondolare, ad alzare troppo la voce… i sacerdoti coordinatori del progetto se ne accorgono e gli negano il permesso di andare; nella sua condizione, a loro avviso, non è in grado di gestire il lavoro in Africa.
“Corsi a casa in lacrime, disperato. Caddi in un abisso, maledicendo il mio stato”.
Poi il miracolo: Kiko Argüello, l’iniziatore del cammino, prende le sue difese e dice agli altri di lasciar provare Alberto. E così Alberto riesce a partire per l’Africa.
“L’esperienza in Africa mi cambiò la vita. Quando sei lì vedi persone e bambini che soffrono veramente e allora tu ti senti fortunato. Loro ridono tutto il giorno, malgrado i problemi gravi che li affliggono. Noi autistici tendiamo ad accentrarci, come se soffrissimo solo noi, e invece no, non sono solo io quello che soffre”.
Tornato dall’Africa, i miglioramenti di Alberto sono palesi a tutti.
“Al mio ritorno tutti i miei amici mi hanno fatto notare quanto fossi cambiato. Anche a livello fisico, sono maturato moltissimo: meno irruenza, meno dondoli…”
Alberto inizia a essere più autonomo indipendente, nel quotidiano, nel privato e nel lavoro.
“Dopo aver partecipato a molti eventi in cui raccontavo la mia storia, in molti mi hanno apprezzato: ho iniziato ad avere follower… altri invece hanno iniziato ad attaccarmi. Pensavano che sfruttassi il mio problema per vendere il libro che avevo scritto, non credevano che io avessi superato il problema. Credevano che io fingessi di essere autistico”.
Oggi Alberto lavora nell’edicola di famiglia, ciò gli permette di coltivare le sue più grandi passioni, la musica e la batteria, ovvero ciò che gli ha spianato la strada verso il superamento di un confine invisibile. Quello che divide le persone “normali dalle persone “diverse”. Un confine invisibile, appunto, relativo… che a volte esiste solo nella nostra testa.
I confini sono lì per essere esplorati, essere messi in discussione, cancellati. Le regole sono fatte per essere riscritte.
Per dirla alla Bergson: alcuni persone rifiutano di vedere le illusioni innestate in loro sin dalla nascita, attraverso il condizionamento sociale.
Alberto ha modellato la sua stimmate. Non l’ha ignorata o rifiutata… sì, forse all’inizio lo ha fatto, ma poi l’ha accettata e infine fatta sua.
Le ha dato una forma: quella che voleva lui.
La vita continua a mettergli di fronte difficoltà impreviste: ad esempio ora, a causa del Covid, non è possibile per lui suonare nelle band in cui fa parte. Ma lui ormai ha trovato un metodo efficace per superare tutte le sfide che il destino gli pone davanti.
Sorride sempre, e tiene il tempo.