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“Sorelle sbagliate” la serie TV che racconta il fallimento dell’apparenza

2 Giugno 2025

“Sorelle sbagliate” la serie TV che racconta il fallimento dell’apparenza nella comunicazione

“Sorelle sbagliate” la serie TV che racconta il fallimento dell’apparenza nella comunicazione. Perché solo la verità crea fiducia. Un concetto, apparentemente, banale, ma che merita di risuonare, in tutta la sua forza, nelle orecchie di chi fa comunicazione oggi.

“Sorelle sbagliate”, la nuova serie Prime Video con Elizabeth Banks e Jessica Biel, offre a noi di Musa un assist perfetto: una storia di due donne giudicate fin dal primo fotogramma, etichettate, incasellate, archiviate. La buona e la cattiva. La vincente e la perdente. La brillante e la ribelle. Poi, naturalmente, tutto si ribalta. E noi, come spettatori, restiamo incastrati in quella trappola narrativa che ci eravamo costruiti da soli. Perché l’apparenza rassicura. Rende semplice. Ma è anche terribilmente fuorviante.

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Nel nostro lavoro succede la stessa cosa ogni giorno. Basta un logo curato, un feed Instagram coordinato, uno slogan brillante e tutto sembra perfetto. Poi, però, gratti appena sotto la superficie e scopri una realtà disorganica, incoerente, o peggio ancora inaffidabile. È come conoscere una persona e lasciarsi incantare dalla sua parlantina: se non ti fermi ad ascoltare davvero, rischi di non vedere chi hai davanti. L’apparenza è un comodo filtro, ma anche un inganno. Un inganno che, nel marketing, può costare molto caro.

L’apparenza è una promessa. E come tutte le promesse, se disattesa, lascia un segno. Quante volte ci capita di atterrare sul sito di un’azienda che comunica inclusività e modernità, e poi scoprire che dentro ha processi interni obsoleti e una cultura tossica? O, al contrario, di incontrare realtà piccole, brutte da vedere, ma con un cuore pulsante di innovazione vera? Ecco perché per noi di Musa Studio, l’apparenza non è un vestito bello da indossare, ma un linguaggio che va costruito con onestà. Un linguaggio che nasce dall’identità, non dalla necessità di piacere a tutti i costi.

Il marketing che funziona davvero non nasconde: rivela. Non inganna, ma guida. Non si limita a “mostrare il meglio”, ma racconta anche le contraddizioni. Perché è proprio lì che si costruisce fiducia. Come in “Sorelle sbagliate”, dove l’unico modo per capire davvero chi siano Chloe e Nicky è guardarne il passato, accettarne le ferite, riconoscerne i limiti. E accorgersi che sono molto più simili di quanto sembrino. Le loro vite, se viste solo da fuori, ci avrebbero fatto sbagliare tutto: chi è l’eroina? Chi è la colpevole? Chi merita la nostra empatia?

Questa ambiguità è potente. E nel marketing, è una risorsa. Le aziende che si presentano solo con un volto levigato, sicuro, impeccabile, perdono l’occasione di creare dialogo. Al contrario, quelle che sanno esporsi – raccontando dubbi, evoluzioni, fragilità – sono quelle che oggi parlano davvero al pubblico. Un pubblico sempre più disincantato, che non cerca perfezione, ma prossimità.

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L’impresa non ha bisogno di apparenza, ma di consapevolezza. Quando lavoriamo a un progetto di rebranding o di comunicazione strategica, chiediamo sempre: siete davvero così come volete apparire? Se la risposta è no, allora c’è un lavoro più profondo da fare. Perché una strategia efficace non può partire dal desiderio di sembrare, ma dal coraggio di essere. Essere fedeli a ciò che si è significa anche accettare che non piaceremo a tutti. Ma significa soprattutto attrarre chi ci riconosce, chi ci sente veri.

La verità è l’unico storytelling che funziona a lungo termine. Anche se è più complessa, anche se ha bordi irregolari, anche se non è sempre fotogenica. Le aziende che sanno raccontarsi con questa onestà, anche nei propri momenti di crisi, costruiscono relazioni profonde. Lo sappiamo perché l’abbiamo visto accadere. Abbiamo visto marchi rinunciare a racconti perfetti per racconti credibili. Abbiamo visto messaggi che sembravano troppo coraggiosi diventare campioni di autenticità.

Il marketing, oggi, non può più permettersi il lusso della perfezione finta. Troppo mondo è crollato sotto i piedi delle narrazioni patinate. Troppa sfiducia grava su chi parla da un piedistallo. Il pubblico vuole identità vere, voci autentiche, storie che assomigliano alla vita, non a un catalogo. La stessa serie “Sorelle sbagliate” funziona quando lascia perdere l’intrigo e si concentra sul rapporto, ruvido e vero, tra due donne che si odiano e si amano senza potersi ignorare.

Anche la comunicazione deve imparare a non ignorare. A non ignorare le incongruenze, le zone d’ombra, le dinamiche interne. Perché è solo guardando lì dentro che si può costruire una narrazione significativa. Una narrazione che non ha paura di dire: “non siamo perfetti, ma stiamo cercando di migliorare”. Una frase semplice, che vale più di mille claim costruiti a tavolino.

Ecco perché la lezione di “Sorelle sbagliate” la serie tv ci riguarda. Perché ci ricorda che, se usata bene, la comunicazione è lo spazio dove le maschere cadono, e le storie vere cominciano. Ed è proprio in quelle storie vere che abita il marketing del futuro. Un marketing fatto di relazioni sincere, di promesse mantenute, di identità forti ma non rigide. Un marketing che ha il coraggio di somigliare alla vita.

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