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Lego ritira i carri armati, Disney si scusa. Politically correct e marketing perbenista

Niente più soldatini e carri armati… e ritiro di tutti i modelli che richiamano alla guerra: così ha deciso Lego. Spinto dalle proteste di molte persone, il colosso danese vuole evitare di produrre e mettere in commercio modelli che i bambini possano ricondurre a situazioni violente.
17 Dicembre 2020

Nel frattempo la Disney si scusa per Gli Aristogatti:  il gatto siamese Shun Gon appare “come una caricatura razzista dei popoli dell’Asia orientale con tratti stereotipati esagerati come occhi a mandorla e denti da coniglio. Canta in un inglese poco accentato, doppiato da un attore bianco, e suona il piano con le bacchette. Questa rappresentazione rafforza lo stereotipo dello ‘straniero perpetuo’, mentre il film presenta anche testi che deridono la lingua e la cultura cinese”.

Anche Dumbo (1941) è sotto accusa: la scena dei corvi fumatori di sigari non va bene… e anche Il libro della giungla (1967), poiché gli oranghi sarebbero una caricatura degli afro-americani.

Una scena tratta dal cartone “Il libro della giungla”

D’ora in poi i suddetti film di animazione, prima di essere riprodotti, dovranno riportare un avviso in cui si specifica che i temi trattati appartengono a una rappresentazione del mondo ormai passato.

Il fatto che si renda necessario specificare tutto questo, mi sembra molto più grave di tutto il resto.

I tentativi di negare o nascondere una realtà – seppure passata e lontana – non portano mai a niente di buono. Negare i soldatini nega l’esistenza della guerra? Allora che facciamo con i videogiochi? Con i libri, i film, le fotografie? Internet? O davvero siamo così ingenui da credere che i bambini del 2000 abbiamo come loro punto di riferimento formativo solo i mattoncini Lego?

Il bisogno di dover “guidare” il fruitore di un contenuto culturale verso una direzione mi infastidisce e mi spaventa. Un po’ come dire a un turista che sta guardando il David di Donatello: “Bello vero? Però è solo una statua eh?”

Si perde il valore della rappresentazione, che portà dentro di sé tutta l’imperfezione di cui è intrisa la natura umana stessa.

Insomma, tutto puzza troppo di un perbenismo che mira solo ad aumentare i consensi intorno al marchio, e a zittire persone troppo polemiche che – grazie ai Social – moltiplicano la propria efficacia comunicativa.

Il marketing perbenista. Chiedo scusa ma faccio davvero fatica a digerirlo.

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