Diario di un insegnante di musica

Devo ammettere che fare l’insegnante di musica non è stata una mia scelta, mi ci sono ritrovato quasi per caso. Nel 2015, al termine di un concerto, un ragazzo mi ferma mentre scendo dal palco e mi chiede se potessi fargli da maestro di pianoforte. Quella parola, maestro, mi infastidiva. Non mi sono mai sentito tale, né tanto meno un fenomeno al pianoforte. Allora per scansare gentilmente la proposta gli dissi: “Sì, se tu mi insegni ad insegnare”. Pensavo rifiutasse la controproposta e invece iniziammo un percorso che ad oggi mi ha portato ad avere sempre più allievi, tra scuole e privato.
Il mio metodo di insegnamento
Negli anni ho sperimentato e sviluppato il mio metodo di insegnamento grazie all’esperienza sul campo, un metodo che si è sempre evoluto, ma con una regola ben precisa nella mia testa: indipendenza. L’indipendenza tra maestro e allievo è stata per me fondamentale durante il mio percorso formativo perché mi ha permesso di instaurare con il mio maestro Andrea Alberti una relazione stabile e duratura. Alberti ha voluto fornirmi tutti gli strumenti essenziali per imparare una solida base di armonia, composizione e tecnica pianistica che mi permettessero di sperimentare nuovi orizzonti musicali e di intraprendere liberamente qualsiasi strada decidessi di percorrere. Quando ho sentito l’esigenza di frequentare lezioni di altri maestri, Alberti non mi ha mai fatto alcun problema: da quel momento ho capito che non era interessato ai miei soldi, ma alla mia formazione. Sembra strano, ma l’indipendenza ha generato in me una maggiore stabilità.
Ho voluto fare tesoro di questa esperienza affinché anche i miei allievi potessero respirare questo senso di libertà. Voglio che i miei allievi maturino non solo una solida base musicale, ma un’incessante ricerca personale del gusto estetico della musica. Una ricerca senza sosta che permetta all’allievo di creare il proprio suono, il proprio stile: la firma inconfondibile della musica che incarna se stesso. Ogni persona, nella sua unicità, è una “melodia”, e il mio ruolo è quello di aiutare l’allievo a farla emergere. Sapreste distinguere la musica di Ennio Morricone da quella di Hans Zimmer? Ecco di cosa parlo…
Lo sviluppo del proprio gusto personale nella musica è fondamentale, aiuta ad allenare l’ascolto.
Potrò ricevere molte critiche sulla seguente affermazione: per me un accordo non è mai giusto o sbagliato, ma si adatta o meno al contesto in cui si trova e funziona in base al proprio gusto estetico. E i maestri sono come gli accordi: non esistono bravi e cattivi insegnanti, ma solo maestri adatti per determinati allievi.
Chi è l’allievo e chi è il maestro?
Confrontandomi con altri colleghi, ho potuto notare un impercettibile senso di disagio al termine di qualche lezione. Mi sorgono spontanee una serie di domande:
Sarò stato chiaro? Come si sente ora l’allievo? Lo avrò annoiato? Quella persona a scelto e investe su di me, si aspetta qualcosa di grande, come potrò mai ricompensarla?
Eppure, nella maggior parte dei casi, questa piccola ansia si dissolve con una parolina magica da parte dell’allievo mentre infila i suoi libri nello zaino: grazie!
Quel grazie mi ha sempre spronato a continuare questo lavoro. Soprattutto ora, grazie alla stretta collaborazione con la scuola di musica MMB Studios di Roma, mi ritrovo 7 allievi consecutivamente, uno ogni ora, e nella maggior parte dei casi sia gli allievi sia i loro genitori mi ringraziano per la lezione. Allora, in quel momento divento io l’allievo: imparo ad ascoltare gli altri, a non proiettare le mie paure su di loro.
Ma allora perché faccio l’insegnante?
Il mio percorso formativo non è stato tutto rose e fiori. Durante gli anni accademici ho subito diversi traumi che hanno rischiato di farmi smettere di suonare. Il primo di essi è avvenuto quando avevo la volontà di cambiare direzione, di terminare lo studio del pianoforte classico e di approdare al jazz. Allora non esisteva internet, non c’erano cattedre di musica contemporanea, ero piccolo e non avevo i mezzi per informarmi su altre proposte formative. Inoltre, la mia insegnante di allora mi sconsigliò vivamente di intraprendere un percorso simile: non mi ero accorto che il suo obiettivo era puramente economico. Eppure tutto questo non mi fermò.
Mentre suonavo alcuni brani di musica moderna, mi rendevo conto che stavo scoprendo magicamente alcune nozioni di armonia e composizione. Non sapevo dare un nome a queste nozioni, ne davo uno io, proprio perché per me rappresentava una mia scoperta. Solo molti anni dopo trovai le stesse scoperte sui libri scritti da altri compositori. Finalmente, dopo essermi laureato, raggiunsi la mia indipendenza economica e intrapresi autonomamente il percorso che volevo raggiungere.
Un altro fattore che ha influenzato notevolmente la mia libertà musicale è stato un evento a dir poco brusco. Durante l’incisione di un disco, mi venne chiesto di comporre una musica d’orchestra: scrissi le partiture, registrai l’audio e andai immediatamente da uno dei direttori d’orchestra d’allora per avere un giudizio estetico del lavoro. Senza nemmeno ascoltare l’audio, la sua risposta fu: “Non ho tempo ora, ripassa tra tre anni”.
Nella mia esperienza ritengo che lo sviluppo compositivo dell’allievo sia uno degli elementi più alti dell’insegnamento. Forse l’obiettivo di ogni scuola di musica è proprio questo: aiutare l’allievo a far emergere la propria creatività musicale, senza la quale il mondo sarebbe pieno di cover band.
Ecco perché faccio il musicista e l’insegnante soprattutto: il mio obiettivo è quello di tornare a respirare quella libertà che a volte ho rischiato di farmi sottrarre.
Mi piace ascoltare l’allievo, chiedergli come stanno andando le lezioni, cosa ne pensa, qual è il suo obiettivo soprattutto e cucire un programma formativo su misura.
Porto sempre nel cuore un episodio accaduto qualche anno fa con un allievo. Sergio è un ragazzo che voleva apprendere delle solide basi pianistiche, ma allo stesso tempo imparare qualche principio essenziale della composizione. Vi dirò la verità, in quel periodo, senza chiedergli nulla, avevo la certezza di non riuscire a trasmettergli nulla in ambito compositivo e che ben presto avrebbe abbandonato gli studi. Lo vedevo in difficoltà con gli esercizi. Eppure, un bel giorno, mi portò inaspettatamente delle partiture: una composizione d’orchestra formata da due violini, una viola e un violoncello. Rimasi incredulo alla vista dei suoi spartiti, correggemmo qualche contrappunto, e ne diresse l’incisione su disco. Quel lavoro, insieme ai suoi spartiti, diventarono la colonna sonora del film “Lontano dal clamore” di Luca Strambi e Giacomo Nencioni alla regia.
Molto probabilmente è questo il mio invito, questo il mio ruolo: che ognuno di noi provi a scrivere la colonna sonora della propria vita.