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Ritrovare la motivazione

Ogni volta che si avvicinano le feste di Natale divento triste e apatico. No, no tranquilli, lo scopo di questo articolo non è cercare insieme a voi le ragioni dello stato d’animo in cui mi ritrovo automaticamente tutti gli anni: il vero scopo di questo articolo – che, detto tra noi, ho fatto moltissima fatica a iniziare proprio perché la mia motivazione in questi giorni è ridotta all’osso – è affrontare i temi dell’apatia, della mancanza di motivazione e dell’abitudine a procastinare.
20 Dicembre 2022

Che sia la preparazione per un esame, l’avvio di un progetto, la ricerca di un lavoro o l’inizio di un programma di allenamento che richiede una certa costanza… esistono forze dentro di noi che ci spingono sempre a rimandarne l’inizio.

E lo sappiamo fare molto bene, o meglio, il nostro cervello sa farlo molto bene.

Non è ancora il momento giusto
Non sono ancora pronto
Non ho raggiunto la preparazione necessaria per affrontare questa cosa
Meglio aspettare che passi questo periodo sfavorevole
Lo farò quando sarò più tranquillo

…e potrei andare avanti così per chissà quanto.

La verità è che quel momento perfetto, quello in cui tutte le variabili che tu credi possano influenzare il risultato siano al posto giusto, non arriverà mai, perché non esiste.

Theodore Roosvelt diceva:

Fai quello che puoi, con quello che hai, nel posto in cui sei

ed è una lezione di realismo e pragmatismo che esprime perfettamente il setting mentale con cui dovremmo affrontare i nostri obiettivi.

La crisi economica, la guerra, il rincaro dei prezzi… smettiamola di focalizzarci sul contesto, concentriamoci sulle nostre azioni ma prima di tutto sulle nostre intenzioni.

Sempre più giovani, e ho potuto verificarlo personalmente, preferirebbero una retribuzione minore, scarse possibilità di carriera e un lavoro che obiettivamente non amano, pur di avere un posto fisso e vicino casa.
Questo la dice lunga sulla distorsione che abbiamo del concetto di benessere, senza contare il fatto che stiamo reiterando gli stessi identici errori della generazione precedente.

Se riesci a fare le cose bene, cerca di farle meglio.
Sii audace, sii il primo, sii differente, sii giusto.

Diceva l’imprenditrice e attivista ambientale Anita Roddick

Un altro grande ostacolo è l’interpretazione, totalmente sbagliata, che abbiamo del fallimento.

Il fallimento è un processo fondamentale verso la la costruzione di un obiettivo… e non è una frase fatta, non è un modo per giustificarlo o per indorare la pillola verso coloro che sono “abituati” a fallire: è davvero così e ci sono delle motivazioni logiche.

Il fallimento traccia i confini della strada giusta, il fallimento rappresenta la tua capacità di andare oltre, di sperimentare, di comprendere e di intuire.

Il fallimento è un’attitudine, un presupposto fondamentale di un percorso.

Non si tratta di accettare il fallimento, piuttosto di accettare di fallire: aspettiamoci il fallimento, accogliamolo a braccia aperte, prendendo da lui tutto.

Prendiamo dal fallimento tutto l’insegnamento che può darci, perché non esiste altro modo di imparare.

“Io non ho fallito” ha detto Thomas Edison qualche tempo dopo aver inventato la lampadina “ho solamente provato 10.000 metodi che non hanno funzionato”.

Esiste poi un altro grande nemico che si oppone, silente, al successo dei nostri obiettivi: il tempo.
Forse perfino di più della paura di fallire, abbiamo paura del tempo.
La data di scadenza è qualcosa che ci paralizza dal terrore, la paura di “non fare in tempo a…”.

Effettivamente anche io, che sono una persona estremamente competitiva (perfino nei giochi di società!) ho sempre voglia di fare meglio e prima degli altri. Non l’ho mai vista però come una cosa negativa: credo sia semplicemente ambizione, una sorta di sfida ma soprattutto con me stesso.

In pratica “uso” gli altri per tarare il mio grado di efficacia nei confronti di un obiettivo, ma poi il confronto finale è sempre con me stesso, o meglio con il “me” del passato. Sono migliore di un anno fa? Ho fatto progressi rispetto a un anno fa? Alla fine sono queste le risposte che contano…

Ed ecco la chiave per “sconfiggere” la paura del tempo: non è pensabile paragonarci agli altri nel percorso di raggiungimento di un determinato obiettivo. Sarebbe pensabile in una situazione di laboratorio, in cui TUTTE le condizioni esterne sono identiche e in cui tutti i soggetti sono alla pari.

Come ho già detto quello che conta davvero, secondo me, è il confronto con noi stessi.

Avete fatto progressi rispetto a un anno fa? E rispetto a due, a tre o a cinque?

Se siete ancora lì, se siete sempre lì… c’è qualcosa che non va, e quindi c’è qualcosa da cambiare, probabilmente tutto.

Se invece registrate anche solo un piccolo passo in avanti, interrogatevi sul cosa l’ha determinato e pensate se c’è un modo di accelerare il processo.

Un po’ come è accaduto per me oggi, per scrivere questo articolo, la partenza spesso è il momento peggiore.

Allora, semplicemente, impariamo a iniziare.

Pensiamo al nostro obiettivo e alle azioni da conseguire per raggiungerlo. Se quello che vediamo ci spaventa, se abbiamo la sensazione di venirne sopraffatti, allora scomponiamolo in mini-obiettivi.

Riportiamo tutto ad azioni che ci sembrano più alla nostra portata, o che possiamo conseguire in un tempo più breve.

E se, ancora, la nostra mente si dimostra più astuta di noi, nel trovare scuse e nel formulare inganni per farci credere che “non iniziare affatto” sia la migliore strategia da adottare… beh allora usiamo le sue stesse armi e raggiriamolo: associamo l’attività sgradevole, o quella che semplicemente non abbiamo voglia di intraprendere, con qualcosa che ci fa stare bene… nel mio caso ascoltare musica metal aiuta tantissimo, ma sono sicuro che ognuno di noi può trovare un modo per rendere più gradevole un’attività.

Quando siamo sul punto di iniziarla, concentriamoci su essa, sarà più difficile per il nostro cervello trovare strategie che ci convincono a rimandare l’inizio.

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