Come interpretare un sogno?

In questo articolo vogliamo proporre un metodo teorico per analizzare la nostra attività onirica attraverso il role-playing, chiamato “il gioco della sedia”. Nel precedente articolo, abbiamo visto come lo psicodramma sia una tecnica davvero utile a sceneggiatori di cinema e teatro per le proprie rappresentazioni.
Lo stesso regista Federico Fellini tentava di riproporre i suoi sogni nelle scene dei suoi film: i personaggi grotteschi, gli ambienti sfumati, le trame ben poco definite e surreali definivano le caratteristiche peculiari delle sue pellicole.
Eppure, quando sogniamo, non siamo anche noi dei registi?

Gli attori del sogno
Quando proviamo a ricordare un sogno, la nostra mente si concentra immediatamente sulle persone sognate e sulle loro azioni. In questa fase è fondamentale capire che ogni personaggio (immaginario o reale) è una proiezione del proprio io: un attore, appunto, preso in prestito dal subconscio. In pratica, tutte le parti del sogno rappresentano frammenti delle nostre personalità
Per esempio, se sognassi di giocare con mio nipote di due anni, in realtà quel bambino potrebbe rappresentare la mia parte infantile, cui sto imparando a dare attenzione attraverso il gioco.
Gli oggetti e la scenografia del sogno
Stesso discorso vale per tutti gli oggetti presenti nel sogno e per l’ambiente: ogni elemento della commedia rappresenta una maschera del nostro io interiore.
Come dare un significato al sogno?
È possibile svelare il messaggio esistenziale del sogno rivivendo i ruoli dei personaggi e degli oggetti presenti nella commedia. In pratica, attraverso questa tecnica, possiamo descrivere lo stesso sogno dai diversi punti di vista degli attori: la trama sarà identica, ma le sensazioni dei protagonisti cambieranno a seconda del ruolo svolto.
Un esempio pratico
Un uomo sognava ricorrentemente un tavolo. Quando gli venne chiesto di descrivere il suo sogno dal punto di vista del tavolo, borbottò: «Che sciocchezza! Io non sono una scrivania!». Con un po’ di incoraggiamento, superò la cosiddetta paura del palcoscenico e iniziò la sua recita:
«Sono un grande tavolo. Sono pieno zeppo di cose degli altri. Ognuno ammucchia qualcosa su di me. Mi scrivono sopra. Mi pungono con le loro penne. Mi usano soltanto e non posso muovermi».
A un tratto esclamò:
«Ma sono proprio io, è vero! Proprio io come una scrivania, lascio che tutti mi usino e tutto quello che faccio è starmene seduto lì!».