Quando è ora di cambiare nome: il caso AstraZeneca
Ben presto i vaccini saranno disponibili in farmacia e la concorrenza si sposterà dal marchio di fabbrica al brand vero e proprio.
Finora le aziende produttrici dei vaccini hanno preferito concentrare la propria comunicazione sul marchio del gruppo di appartenenza (il “vaccino Pfizer” VS il “vaccino AstraZeneca” ad esempio), anche per creare un effetto valanga su tutti i prodotti dello stesso gruppo già presenti sul mercato… della serie: se hanno fatto il vaccino prima degli altri significa che sono più bravi degli altri, quindi anche tutti gli altri prodotti sono migliori degli altri.
Chiaramente – proprio come i virus – anche le strategie di marketing evolvono e la questione AstraZeneca ha accelerato la corsa verso un cambio del campo di gioco.
Guardando le cose dal punto di vista di AstraZeneca, non è forse questo il momento migliore per cambiare nome al vaccino?
Senza entrare minimamente sulle effettive complicazioni che il vaccino potrebbe aver comportato su una parte (davvero minima, mi sembra il caso questo di ricordarlo) della popolazione vaccinata, il suo nome è ormai perennemente associato, almeno per la maggior parte dell’opinione pubblica, al “vaccino di Serie B”.
Esattamente come accade nel supermercato: in condizioni di incertezza e a parità di costi, si tende a scegliere il brand più sicuro.
Approfittando quindi del caso AstraZeneca, è interessante riflettere sulla questione del cambio di nome di un’azienda o di un prodotto/servizio, ovvero quando è il caso di farlo?
In un caso come questo risulta piuttosto evidente. Tutti ad oggi, sappiamo che il vaccino Vaxzevria è sempre AstraZeneca, solo con un nome diverso… quindi in pochi ci “cascheranno”…
Ma nel lungo termine il discorso cambia. La trasformazione del packaging, il cambio di nome… sono tutti aspetti che lavorano bene nel medio e lungo termine, ed ecco spiegato il perché di questa scelta da parte del gruppo anglo-svedese.
Il vaccino Vaxzevria sarà altro, non sarà più il vaccino AstraZeneca… un po’ perché ce ne dimenticheremo, un po’ perché è il nome, l’aspetto più importante nella definizione di un brand, forse proprio perché è il primo tra tutti in termini di percezione da parte del pubblico.
Non può non venirmi in mente la celebre scena finale di The Founder, ispirato alla vera storia del marchio McDonald’s, in cui Ray Kroc è l’imprenditore che acquisisce la catena di ristoranti con una rapida e spietata scalata e Dick McDonald è uno dei fratelli fondatori del primo ristorante originale.
La scena si svolge nel bagno e Dick, non avendo altra scelta, ha appena ceduto tutti i diritti del nome McDonald’s a Ray per 350.000 dollari.
Ray: Potevo rubare le vostre idee e avviare una mia attività usando la stessa roba e avrebbe fallito.
Dick: Come lo sai?
Ray: Sono l’unico a cui avete mostrato la cucina? Chissà quanta gente avete invitato lì dentro.
Dick: E allora?
Ray: E quanti hanno avuto successo?
Dick: Molti hanno aperto un ristorante.
Ray: Grande come McDonald’s? Certo che no. Nessuno c’è riuscito, nessuno ci riuscirà, perché a tutti manca quell’unica cosa che rende McDonald’s speciale.
Dick: Ovvero?
Ray: Nemmeno tu sai cosa sia…
Dick: Illuminami.
Ray: Non è solo il sistema, Dick. È il nome. Quel glorioso nome: McDonald’s. Diventa qualsiasi cosa tu voglia che diventi. È sconfinato, non ha limiti e sa di… sa di… sa di America. McDonald’s, diamine, ha la bellezza, sì. Chi si chiama McDonald non sarà mai maltrattato da nessuno.
Dick: Non è certo questo il caso.
Ray: Quindi tu non hai in tasca un assegno da un milione e trecentocinquantamila dollari. Ciao, Dick.