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Avatar e i Na’vi: i videogiochi, l’uomo e il suo processo di alienazione

Ultimamente il web è colmo di recensioni sul film Avatar di James Cameron. Ma questa pellicola denuncia esclusivamente il disastro naturale provocato dall’uomo?
10 Gennaio 2023
Avatar e l'alienazione tra uomo e videogiochi

James Cameron e gli sceneggiatori di Avatar, e del sequel Avatar 2, non hanno avuto alcun dubbio: entrambi i film denunciano metaforicamente il disastro ambientale provocato dagli esseri umani e l’avidità degli uomini di potere di soccombere e sfruttare le risorse naturali per i propri scopi economici.

Una metafora che vede Pandora, un pianeta ricco di risorse e meraviglie biologiche, completamente soggiogata dall’invadenza (e anche dalla presunzione) dei corpi militari statunitensi per prelevare più combustibile possibile e, magari, preparare terreno fertile per una seconda genesi dell’umanità.

Dietro la trama di Avatar possiamo scorgere anche la denuncia dei popoli nativi di Pandora, i Na’vi: una specie indigena superpotenziata con sembianze umanoidi, dagli usi e costumi apparentemente arcaici, ma che nutre costantemente un profondo legame con la natura. Insomma, nulla è più moderno del classico!

La meravigliosa natura di Pandora

Una metafora che ci provoca dal di dentro, un invito alla riscoperta del profondo legame tra uomo e madre terra e al benessere che egli stessa ci dona. Un invito, soprattutto, alla conoscenza e al rispetto di culture diverse da cui si può solo apprendere.

Ma c’è molto di più.

Avatar e il fascino dei Na’vi: il tentativo di evasione dalla realtà attraverso i videogiochi

“Pandora è piena d’insidie. La più pericolosa è che potrebbe piacerti troppo”. Così esordisce la dottoressa biologa Grace Augustine, interpretata dall’attrice Sigourney Weaver, durante il programma di addestramento Avatar.

Jake Sally è un giovane ex marine degli Stati Uniti d’America oramai in pensione a causa di un incidente alle gambe che lo ha costretto indefinitamente a camminare su una sedia a rotelle. Una vita per lui oramai da buttare, ma che ritrova immediatamente entusiasmo quando può connettersi con il corpo del suo nuovo avatar Na’vi: un corpo nettamente superiore a quello umano, non solo perché è capace di camminare con le proprie gambe, ma perché la forza e l’intuitività della specie Na’vi sono delle novità inesplorate e mai provate dagli essere umani. Nuove armi, nuovi mezzi di trasporto, nuovo ambiente, nuovo cibo, nuovi amori: un’evasione completa dal mondo reale.

Un distacco senza dubbio verso il meglio, un ignoto ricco di meraviglie da scoprire che segna un taglio netto con il già noto, con i limiti della debolezza umana e con i soliti problemi nei confronti della società e delle relazioni umane che ci circondano. Cerchiamo costantemente di evadere dalle nostre difficoltà, sognando un viaggio in Islanda per ammirare l’aurora boreale, oppure suonando uno strumento musicale, o, ancora meglio, connettendoci con il nostro avatar.

Si, perché anche noi abbiamo a disposizione i nostri avatar come, ad esempio, il nostro personaggio preferito nei videogiochi. Attualmente la tecnologia dei videogame permette di vivere un’esperienza ludica completamente totalizzante e immersiva: il distacco netto dalla realtà coinvolge la maggior parte dei nostri sensi: schermi giganti, sedie comode ed ergonomiche, cuffie isolanti e microfoni spaziali, il tutto corredato da qualche luce a led per gratificare il design della postazione di gioco. Il nostro corpo viene completamente paralizzato per lasciar spazio alla mente: una realtà che diventa sempre più digitale anche attraverso l’accesso al metaverso.

La realtà immersiva dei videogame

Non a caso negli ultimi mesi, dopo la visione del film Avatar 2, un discreto numero di ragazzi e adulti hanno subito una sorta di depressione, forse per avvertito questo senso di evasione dall’umano. Un tentativo di alienazione che porta alla costante ricerca della novità o del meglio, ma che spesso rimanda inutilmente il problema o lo tampona limitatamente.

In ogni caso James Cameron ci invita a salvaguardare il nostro mondo, il nostro corpo e le relazioni che ci circondano. Non ci connettiamo con la natura attraverso la nostra coda, ma con lo stupore dei nostri occhi.

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